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Progetto
Ovidio - database
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autore
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brano
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Cicerone
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Della divinazione, II, 119
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originale
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119 Similis est error in somniis; quorum quidem defensio repetita quam longe est! Divinos animos censent esse nostros, eosque esse tractos extrinsecus, animorumque consentientium multitudine completum esse mundum; hac igitur mentis et ipsius divinitate, et coniunctione cum externis mentibus cerni quae sint futura. Contrahi autem animum Zeno et quasi labi putat atque concidere, et ipsum esse dormire. Iam Pythagoras et Plato, locupletissimi auctores, quo in somnis certiora videamus, praeparatos quodam cultu atque victu proficisci ad dormiendum iubent; faba quidem Pythagorei utique abstinere, quasi vero eo cibo mens, non venter infletur. Sed nescio quo modo nihil tam absurde dici potest quod non dicatur ab aliquo philosophorum.
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traduzione
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119 Un errore analogo si commette a proposito dei sogni. Da quanto lontano prendono le mosse nel difenderli! Sostengono che le nostre anime siano divine, e derivino dal di fuori di noi, e che il mondo sia pieno di una moltitudine di anime "consenzienti": quindi, in virt? della natura divina dell'anima in quanto tale e della sua connessione con le anime che riempiono l'universo, sarebbe possibile vedere il futuro. Zenone ritiene che l'anima si contragga e, in certo senso, scivoli gi? e giaccia, e che appunto in ci? consista il sonno. Gi? Pitagora e Platone, autori di sommo valore, consigliano di andare a dormire predisposti da un regime di vita e da un'alimentazione appropriata, allo scopo di vedere in sogno cose pi? rispondenti al vero; i pitagorici prescrivono di astenersi assolutamente dal mangiar fave, come se quel cibo gonfiasse l'anima, non il ventre. Ma, non so come, non si pu? immaginare nulla di tanto assurdo che non sia sostenuto da qualche filosofo.
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